“Quando ho saputo che Sabrina si sarebbe trasferita qui sopra, ero contenta. Ci conoscevamo da una vita, avevamo passato estati intere a ridere tra i monti, ci eravamo sempre dette che vivere vicine sarebbe stato il massimo: niente vicini sconosciuti, solo una faccia amica sul pianerottolo. E invece.

Lei si è separata da poco, il suo matrimonio è finito praticamente appena iniziato. Diceva che aveva bisogno di cambiare aria, di provare la città, e io davvero speravo che qui si sarebbe sentita meglio. All’inizio è stato così. Un caffè ogni tanto, due chiacchiere in cortile, ci faceva piacere rivederci. Ma poi… col passare delle settimane, è come se si fosse dimenticata di non vivere più in mezzo al nulla.

Io lavoro in parte da casa, in parte vado fuori per trasferte (per cui mi alzo alle cinque o cinque e mezza), ho un figlio piccolo che ha bisogno di dormire, e certe sere—anzi, quasi tutte—iniziano lavatrici e aspirapolvere a mezzanotte passata. Non è un episodio, è una routine. E per rispetto dell’amicizia non ho mai voluto scrivere all’amministratore, ma sta diventando impossibile. Mi dispiace. Non volevo arrivarci, ma non si può continuare così.”

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