“Da quando è mancata mia moglie, la casa è diventata più silenziosa di quanto potessi immaginare.
All’inizio pensavo che riempirla di voci di bambini fosse la cura giusta.
Così ho detto sempre sì: alle corse a basket, ai pranzi da scaldare in fretta, ai compiti sparsi sul tavolo della cucina.
E per un po’ ha funzionato.
I miei nipoti mi hanno tenuto vivo.
Ma poi il corpo ha iniziato a presentare il conto.
L’infarto è arrivato in una mattina qualunque, mentre caricavo l’ennesimo zaino in macchina.
I medici mi hanno detto che devo rallentare, che la vita non perdona chi si dimentica di sé.
Io l’ho capito.
Mio figlio, no.
Per lui io sono sempre il nonno che c’è, il piano B, la ruota di scorta.
E ogni volta che provo a dirgli che ho bisogno di fermarmi, lui sorride come se non ci credesse.
“Papà non se ne andrà mai davvero.”
Questa volta invece sì.
Tre mesi al mare, con Anna.
A guardare il sole al tramonto, a sentire il mare dalla finestra.
Non è egoismo.
È sopravvivenza.
Se non imparo a vivere adesso, quando non ci sarò più, resterà solo un rimpianto.”



CONTINUA A LEGGERE QUESTA STORIA CLICCANDO QUI SOTTO SU “SUCCESSIVA”
Commenta con Facebook