“Quando ho deciso di trasferirmi, sapevo che non sarebbe stato facile. Città nuova, lavoro nuovo, amici zero. Ma l’idea di ricominciare mi sembrava bella. Ci credevo e quindi mi sono buttata. Ho comprato subito casa, non volevo più stare in affitto… Fantastico, però i lavori si sono protratti e l’appartamento era un cantiere, letteralmente: muratori, impalcature, polvere ovunque.

Così, quando Andrea — un collega conosciuto un anno fa online, poi dal vivo — mi ha proposto di “affittarmi” la stanza in più di casa sua “in attesa che tu abbia le chiavi del tuo regno”, mi è sembrata una soluzione perfetta. Non avevamo un contratto, ma mica stavo a scrocco, e poi lui era gentile, educato, sembrava persino simpatico.

Le prime sere filava tutto liscio. Lui molto preciso, certo, ma pensavo fosse solo pignoleria innocua. Poi è arrivato il “regolamento”. Una foto su WhatsApp. Tipo quelle da mettere sul frigo con i post-it. Ma senza frigo e senza ironia. Un decalogo per l’uso del bagno. Pensavo scherzasse. E invece no.

Non so bene come si possa spiegare certe cose. Forse bastano gli screen. Forse, se li leggete anche voi, capite perché ho deciso che era meglio dormire tra i calcinacci, ma libera, che in una casa con regole da campo militare.”

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