“Faccio il medico da più di dieci anni, e vi assicuro che ne ho viste di ogni tipo. Ho ricevuto messaggi nel cuore della notte da gente convinta di stare morendo per un singhiozzo, persone che volevano la ricetta “urgente” per un antipasto troppo piccante, e persino un paziente che mi ha mandato la foto del suo piede… mentre era ancora nella scarpa. Ma una come questa, mai. Non so nemmeno se chiamarla emergenza o episodio di comicità involontaria. Fatto sta che quel giorno mi arriva su WhatsApp un messaggio da un numero che conosco, una mia paziente giovane, educata, sempre molto riservata. Di solito non amo usare WhatsApp per lavoro, ma negli anni è diventato inevitabile: quando si fa questo mestiere, si capisce che per certe persone scrivere è più facile che parlare. E io, che ci tengo a essere un medico umano, non me la sento mai di lasciare qualcuno nel panico solo perché “fuori orario”. E così rispondo come faccio sempre: con calma, professionalità e un pizzico di ironia per sdrammatizzare. Il problema è che da lì è iniziata una conversazione assurda, spiacevole, e soprattutto che mi ha traumatizzato per il resto della mia vita.”
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