“Ero convinta che, dopo due anni, certe dinamiche fossero ormai chiare. Non perfette, ma almeno decifrabili. Io e Patri ci conoscevamo da abbastanza tempo da sapere come muoverci l’una intorno all’altra: le sue rigidità, i suoi silenzi improvvisi, il modo in cui tendeva a decidere tutto senza mai dirlo davvero. Io, al contrario, ho sempre avuto bisogno di parlare, di chiarire, di capire dove mi stavo sedendo prima di sedermi davvero.

Ci eravamo conosciute tramite amici comuni, una di quelle conoscenze lente che non scattano subito. All’inizio caffè veloci, poi cene improvvisate, poi l’abitudine. Negli anni avevamo passato insieme compleanni, capodanni, notti finite sul divano con una coperta di fortuna. Non era un rapporto semplice, ma era diventato familiare. E per me, familiare voleva dire anche tollerare, adattarmi, fare un passo indietro quando serviva.

Quando sono partita per Berlino pensavo che al mio ritorno sarebbe stato tutto come sempre: un po’ caotico, un po’ scomodo, ma gestibile. Non immaginavo che un capodanno potesse trasformarsi in un processo, né che vecchie cose mai chiarite potessero riemergere come armi. Pensavo di tornare a casa. Invece stavo entrando, senza saperlo, in un terreno minato.”

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