“Ci sono pacchi che non dovresti aprire se non sono tuoi. Ieri sera è arrivato il corriere alle 19:00, io ancora in autobus dopo il turno lungo in negozio, Gabriele già a casa in smart working con la camicia sopra e i pantaloncini sotto. Gli ho scritto: “Mettilo in camera, grazie”. Due ore dopo, silenzio glaciale. Ho capito che l’aveva aperto quando ho visto la scatola—non quella esterna, ma quella interna—appoggiata sul comò, come una prova a metà processo. Non è che volessi fare una sorpresa “spinta”: volevo solo mettere un fiammifero in una stanza che da mesi accendevamo male. Stanchezza, orari, mille scuse. Pensavo di portare un’idea, non un insulto.

Lui invece l’ha vissuta così: “mi stai sostituendo”. Ho passato la notte a fissare il soffitto, lui sul divano, io in camera. Stamattina, mentre ho aperto il negozio con il caffè che sa di gomma e i cartoni da smaltire, il telefono ha vibrato. Gabriele ha scritto. E allora sì, parliamone. Di un giocattolo che non parla ma accende discorsi veri: privacy, rispetto, desiderio. E di come un oggetto possa diventare lo specchio di una coppia—o il coltello che taglia la corda quando hai finito i nodi.”

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