“Faccio questo mestiere, il medico di base, da più di dieci anni e ormai credevo di averle viste tutte. Non parlo solo delle diagnosi complesse o delle urgenze inaspettate: intendo proprio il rapporto con i pazienti. Perché curare non significa soltanto prescrivere farmaci o leggere analisi, significa anche interpretare le persone. E fidatevi, spesso è lì che si gioca la parte più delicata del lavoro. Alcuni si fidano ciecamente, altri mettono in discussione tutto. C’è chi ti racconta l’intera storia clinica del nonno prima ancora di sedersi, e chi invece viene da te per un consiglio… ma ha già deciso in partenza che lo ignorerà. Io ascolto sempre, anche quando le richieste sembrano assurde, perché ho imparato che, sotto certe insistenze, si nasconde qualcosa. A volte è ansia, a volte è convinzione, altre semplicemente abitudine. E poi ci sono quei pazienti che ti mettono alla prova in modi inaspettati. Oggi vi faccio leggere una conversazione con uno di questi, convinto, ma davvero fortemente convinto, che la supposta sia infinitamente migliore della tachipirina. Il problema è che non è finita lì…”

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