“Che posso dire? Questa storia è cominciata quando ho iniziato a lavorare per una cooperativa di cui non voglio fare il nome perché altrimenti so che mi denuncerebbero. Il fatto è che è una cooperativa che da un lato fa tanto la faccia bella con politici, persone importanti, genitori di bambini a cui facciamo attività per non lasciarli soli, e con noi educatrici invece si comportano come se fossimo ostaggio, insieme ai bambini, di trattamenti da fame. Non ci vengono riconosciute ferie, malattia, ma abbiamo un contratto pieno di cose incomprensibili che però è a tempo indeterminato. Pagano solo le ore che fai, se ti ammali, se si ammala il bambino, se qualcuno di quelli che sono “regolari” fa sciopero e la struttura sta chiusa, tu stai a casa e non prendi lo stipendio delle ore che non hai lavorato a causa di altri. Però, al colloquio, ci tenevano a dirmi che è meglio lavorare che avere il reddito di cittadinanza, e un’altra volta il responsabile della struttura ha fatto una tirata lunghissima sul fatto che dovremmo ritenerci fortunate perché non viviamo nella miseria di chi sta con il RDC, e ripete questa solfa. In più, se provi a lamentarti, cercano di farti sentire in colpa come se fossimo volontarie che devono tenere casi anche gravi. Io il mio lavoro lo faccio per passione, certo, ma non posso campare d’aria, i miei genitori non mi possono aiutare. Mi sono laureata, ho un master e ho fatto corsi per farmi una posizione. E il mese scorso mi sono vista arrivare una busta paga da 500 euro. Ditemi se si può continuare così.”

“Il giorno dopo”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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