“Pensavo fosse il tumore.

Pensavo che quel modo di parlarmi, gli scatti improvvisi, quel tono sempre sul punto di esplodere… fosse solo paura.

Mi dicevo: ha paura di morire. Ha paura di perdere tutto. Anche me.

E così restavo. Anche quando mi urlava addosso. Anche quando lanciava oggetti contro il muro. Anche quando mi colpevolizzava perché “gli mettevo ansia”.

Mi dicevo: passerà.

È la malattia che parla, non lui.

E mentre lui faceva la chemio, io facevo il giro delle farmacie.

Quando lui non mangiava, io cucinavo dieci piatti diversi, solo per fargli sentire un po’ di normalità.

Quando non dormiva, restavo sveglia io, a guardare se respirava.

Quando lui non ce la faceva nemmeno ad alzarsi, gli tendevo la mano.

Non per forza.

Per amore.

Solo che poi… lui è guarito.

E io no.

Perché certe ferite non le trovi nelle analisi del sangue.

Non ti dicono “sei tossico” con una tac.

E invece lui lo era. Solo che prima avevo una scusa per non vederlo.

Mi sono detta: ora che sta bene tornerà a essere quello che era prima.

Ma non è tornato nessuno.

Quello che c’era prima non era amore.

Era solo uno che sapeva fingersi fragile quando gli conveniva.

E violento quando pensava di avere il diritto.

E io ho smesso.

Ho smesso di proteggere chi mi faceva sentire sempre sbagliata.

Ho smesso di cercare un senso in un rapporto in cui c’era spazio solo per lui.

Ho smesso di dire “passerà”.

E ho iniziato a dire “basta”.”

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