“Non ero il suo insegnante già da qualche mese, ma ogni volta che aprivo WhatsApp sentivo un peso nello stomaco. Lì dentro c’era il suo nome. Rosamaria. Non l’avevo mai cancellato, anche se avrei dovuto. L’ultima volta che ci eravamo visti, durante la sua proclamazione, mi aveva stretto la mano con troppa forza. Uno di quegli istanti in cui capisci che qualcosa si è spostato dentro di te, e non sai bene dove rimetterlo. Mi ero ripetuto che era solo riconoscenza, un legame tra insegnante e allieva. Ma quello che avevo visto, sentito e provato quel giorno continuava a suonarmi nella testa come una confessione che non avevo mai avuto il coraggio di fare. Ora lei era libera, adulta, e io non avevo più l’autorità di nascondermi dietro un ruolo. Ma sentivo che scriverle avrebbe significato aprire una porta che avevo tenuto chiusa con troppa cura. Stavo leggendo una mail, quando lo schermo del telefono si illuminò. Rosamaria mi aveva scritto. Restai immobile. Avevo sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, ma non sapevo che mi avrebbe fatto così paura. Il problema, però, è ciò che è successo dopo.”
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