“A volte mi chiedo se davvero la mia generazione sia fatta di “fannulloni” o se, piuttosto, siamo solo stanchi di sentirci dire che dovremmo ringraziare per qualsiasi briciola. Il lavoro dovrebbe essere un mezzo per vivere, crescere, costruirsi un futuro, e invece troppo spesso diventa una gabbia. È come se la dignità fosse un lusso: o mangi o pretendi rispetto, ma le due cose insieme sembrano un privilegio riservato a pochi. E io mi trovo esattamente in mezzo a questo conflitto. Da una parte la paura concreta di restare senza uno stipendio, senza indipendenza, senza quella minima sicurezza che ti permette di guardare avanti senza ansia. Dall’altra, la nausea di dover sempre chinare la testa, di dover accettare condizioni che sanno di ricatto più che di opportunità. Il punto è che non si tratta solo di me: è un dibattito che riguarda tanti ragazzi e ragazze della mia età. Stavolta però, dopo il mio ultimo colloquio dal quale sarei pure stato preso, ho vissuto una situazione incredibile che dimostra ancora di più quando questo ambito sia terrificante. E c’è pure chi si permette di dire che sono nel torto.”

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