“Io e Nick (Nicolas per i non amici) ci conosciamo dai primi giorni di università. Eravamo inseparabili: studio, pause caffè, progetti. Ci spronavamo a vicenda, competendo in modo sano, almeno all’inizio. Lui era brillante, veloce a cogliere le cose, molto pratico e poco teorico e anche molto, ma anche troppo, ambizioso. Io credevo che l’onestà e il lavoro duro fossero la chiave, che fossero tutto ciò di cui avevamo bisogno. Ma con il tempo, l’università ha iniziato a mostrarmi il suo lato più marcio. Raccomandazioni camuffate, curriculum gonfiati, chiacchiere sussurrate dietro le quinte. Nick diceva che non c’era altro modo di andare avanti, che chi non si adattava era destinato a restare indietro. Io scuotevo la testa: non potevo credere che il sistema fosse così corrotto, e non volevo diventare parte di quel gioco sporco. Eppure, mai avrei pensato che Nick sarebbe arrivato a colpire me. Ero convinto che, nonostante tutto, ci fosse una linea che non avrebbe superato. Mi sbagliavo. Abbiamo partecipato entrambi per l’ottenimento di un dottorato a cui aspiravamo, e quando sono arrivati i risultati (ma anche prima purtroppo) ho scoperto l’impensabile.”




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