“Quando hai 32 anni e fai turni da dodici ore in ospedale, arrivi a casa che hai addosso l’odore degli altri, i piedi gonfi e la testa piena di voci.
Non chiedi tanto.
Chiedi che, ogni tanto, chi vive con te si ricordi che esisti anche tu.
Marco lavora, sì. Ma da un po’ gli hanno ridotto (di molto) le ore. Per lui è stato brutto, si è visto ridurre stipendio e responsabilità dall’oggi al domani.
Dice che sta cercando altro, ma intanto passa giornate intere a guardare video sul divano.
Non cucina, non pulisce, non fa la spesa.
Eppure è sempre stanco.
Io non l’ho lasciato, anche se avrei potuto.
Non l’ho lasciato neppure quando si è chiuso per mesi in se stesso, dopo la batosta.
Gli ho portato pazienza. Ho pensato che sarebbe passata, che era un momento un po’ così.
Ma l’altra sera, quando gli ho scritto se per favore poteva pensare lui a qualcosa per cena, mi ha mandato una foto.
Un piatto di pasta.
Con le polpette.
E una frase: “Mamma mi ha detto di venire qui”.
Non è stata la fame a farmi crollare.
È stata la lucidità improvvisa:
Io mi spacco la schiena.
E lui si fa servire.
Da un’altra donna.”



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