“Sono cresciuta con la convinzione che per me valessero regole diverse. Io, femmina, sempre con i doveri addosso: aiutare in casa, studiare sul serio, trovare un lavoro vero, “darti da fare che nessuno ti regala niente”. A mio fratello, invece, bastava esistere. Lui era “il maschio di casa”, il cocco di mamma, quello che non doveva mai sparecchiare perché “ha studiato tutto il giorno”, quello che non poteva essere contraddetto perché “poverino, è sensibile”.

Io mi sono fatta in quattro: università, lavoretti, sacrifici. Ora finalmente ho una casa mia e me la mantengo con il mio lavoro. Lui no. A venticinque anni vive ancora con i nostri, fa due giorni di lavoro e tre di divano, e ha la faccia tosta di dirmi che è giusto che lo ospiti, che gli compri da mangiare, che lo “sostenga” perché “sono la sorella maggiore”.

La verità è che i nostri l’hanno viziato, gli hanno spianato ogni strada. A me invece hanno insegnato la fatica. E adesso lui pretende di appoggiarsi a me, come ha sempre fatto con loro. Ma io non sono sua madre, non sono la colf, non sono il bancomat. Io ho già pagato il mio prezzo per essere donna in quella famiglia.”

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