“Mi chiamo Luca, ho 32 anni, e ieri sera ho avuto un appuntamento che, onestamente, mi ha lasciato un misto di emozioni e dubbi. Chiara è una ragazza fantastica: intelligente, brillante, con idee chiare su tante cose. Abbiamo parlato di viaggi, politica, parità di genere, e mi sembrava di essere seduto di fronte a una persona che capiva il mondo in modo profondo. Avevo passato giorni a pensare a questa cena, cercando un ristorante che fosse all’altezza, qualcosa di diverso, speciale, che mostrasse che mi ero davvero impegnato per farle piacere. E così, quando è arrivato il conto, mi aspettavo qualcosa di diverso da ciò che è accaduto.

Siamo stati bene per tutta la serata, ridendo e scambiandoci opinioni su tutto: dal patriarcato alle tradizioni, dai nostri lavori ai sogni nel cassetto. Poi, è arrivato quel momento, quello che sembrava un dettaglio insignificante. Il cameriere ci ha portato il conto. Ho detto: “Facciamo metà?” con il sorriso, ma lei mi ha risposto subito, con naturalezza: “No, sei tu che mi hai invitata.” Mi ha colpito. Ero lì, con il portafoglio già in mano, e quella frase mi ha spiazzato. Non era il problema di pagare, non è quello. Ma era il significato dietro quelle parole che mi ha lasciato perplesso.

Durante tutta la serata, Chiara aveva parlato di quanto fosse importante abbattere le disuguaglianze di genere, di quanto fosse essenziale rimuovere i vecchi stereotipi. Mi aveva colpito il suo discorso sulla parità: uomini e donne devono collaborare, dividere responsabilità e opportunità in modo equo. Eppure, nel momento in cui si trattava di qualcosa di così semplice, come il pagamento di una cena, sembrava che la tradizione fosse tornata a guidare le regole del gioco. Era come se quelle parole, pronunciate poco prima, fossero scomparse.

Mi sono sentito combattuto. Pagare non era un problema per me: sono cresciuto in una famiglia dove il “gesto cavalleresco” era visto come qualcosa di normale, quasi dovuto. Ma nel corso degli anni ho iniziato a riflettere: perché certe tradizioni devono valere solo in alcuni momenti? Perché l’uomo deve dimostrare qualcosa attraverso il denaro o un “dovere” che sembra ancorato al passato? E se parliamo di parità, non dovrebbe valere in tutto, anche nei gesti quotidiani?

Ovviamente non ho detto nulla sul momento. Non volevo rovinare la serata. Ho pagato e siamo usciti dal ristorante. Abbiamo continuato a camminare e parlare, ma io, dentro di me, sentivo quel dubbio crescere. Forse sono io a vedere le cose in modo troppo complicato, forse lei non intendeva contraddire i suoi ideali. Magari per lei era solo una questione di abitudine, qualcosa che non aveva mai messo in discussione. O forse c’era davvero una discrepanza, un pezzo mancante in quel puzzle di idee che avevamo costruito insieme durante la serata.

Non so se il problema è mio, se sono troppo rigido su certi temi o se dovrei semplicemente accettare che la galanteria non è sempre in contrasto con la parità. Ma questa esperienza mi ha fatto riflettere, e non riesco a smettere di pensarci. Oggi, mentre scrivo queste righe, mi chiedo: è possibile conciliare vecchie tradizioni con nuovi valori? E se sì, in che modo? Forse dovrei parlarne con lei, essere sincero e capire il suo punto di vista. O forse dovrei lasciar perdere e accettare che, in fondo, certe cose sono solo dettagli. Ma allora perché mi sento così confuso?”

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