“Avevo il trolley in una mano, le chiavi nell’altra e la testa ancora piena di slide, saluti formali e caffè d’albergo quando sono rientrata a casa in anticipo. Tre giorni fuori per una convention: non una vacanza, ma neanche una tragedia. Pensavo solo di buttarmi sul divano, mettere qualcosa di comodo e aspettare Fabrizio. Invece ho trovato una ragazza sul nostro divano. Addormentata. Aveva addosso la mia vestaglia, e sembrava profondamente immersa nel sonno. Ho provato a chiamarla dopo l’iniziale paura; a toccarle il braccio, a scuoterla,  ma niente. Non si svegliava. Era lì, immobile, come in catalessi. Così ho scritto a Fabrizio. Doveva sapere qualcosa. Gli ho mandato un messaggio e da lì è partita una conversazione che, onestamente, non so ancora come inquadrare. Ho cercato di restare calma, di ascoltare quello che aveva da dire. E lui… lui ha provato a spiegare. E ad un certo pure mi ero pure convinta che avesse fatto la cosa giusta, sbagliando solo i modi. Però poi…”

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