“Ciao Spunte Blu, mi chiamo Clelia e vi ho sempre seguiti perché la vostra pagina devo dire che mi rilassa e spesso mi diverte molto, ma mai avrei pensato in vita mia di sentire l’esigenza e il profondo bisogno di mandarvi anche io una mia chat, nel senso che se fino a ieri me l’avessero detto non ci avrei creduto. Insomma, sento il bisogno di raccontarvi quello che mi è successo poco fa perché altrimenti esplodo dalla rabbia peggio di una pentola a pressione e anche perché voglio sbattere in faccia agli altri followers come me una verità indissolubile, e cioè che alla pazzia pura non c’è veramente mai fine. Anzi spero proprio che la persona che mi ha attaccata legga questa stessa chat, per me sarebbe una bella vendetta visto che sono arrabbiata nera e davvero poco lucida in questo momento. Vengo al dunque: lavoro da molti anni come segretaria per uno studio di psicoterapia e quindi mi occupo principalmente di gestire e coordinare tutti gli appuntamenti e le varie sedute con i pazienti per lo psicologo presso cui lavoro. Poco fa però una di queste pazienti (non posso dire il nome per ovvie ragioni di privacy) mi scrive in privato sul Whatsapp del cellulare aziendale (che uso appunto solo ed esclusivamente per fissare le varie sessioni) per farmi una domanda scioccante. Naturalmente io mi sono subito rifiutata di soddisfare la domanda della paziente del caso, mantenendomi sempre sul professionale, ma più io rifiutavo e più lei insisteva, fino alla degenerazione totale. Leggete quello che mi ha scritto e resterete impietriti come me. Non mi era mai accaduta una cosa del genere. Mai. E so benissimo anche quanto sia sbagliato e non professionale mandarvi una chat simile anche se mantengo l’anonimato su tutto (rischierei anche il lavoro se il terapeuta lo scoprisse), ma credetemi che non ci vedo davvero più dalla rabbia adesso e non me ne frega niente se ci saranno delle brutte conseguenze per me e il mio lavoro. Sono schifata.”




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