“A trentadue anni mi sono ritrovato a fare una cosa che a venti mi sembrava fantascienza: respirare senza sentirmi in colpa. Non perché la vita sia diventata facile, ma perché ho smesso di farmi trascinare dai ricatti travestiti da affetto. Ho passato anni senza un lavoro fisso, con contratti a pezzi, colloqui finiti nel nulla e quella sensazione costante di essere “di troppo”, persino quando non lo diceva nessuno. Durante la pandemia mi sono aggrappato a tutto: consegne, progetti, favori. E quando ti reggi sui favori, impari anche un’altra cosa: che in famiglia spesso l’aiuto non è mai gratis, anche quando sembra.

Adesso mi sono rimesso in piedi. Ho un ruolo serio, responsabilità vere, un’agenda che mi mangia ore e sonno. Non mi lamento: me la sono guadagnata. Ma proprio perché so quanto costa, ho imparato a proteggere il mio tempo. Non è egoismo. È sopravvivenza.

Quando ho scritto a mia madre per dirle che a Natale sarei tornato, sì, ma per poco, mi aspettavo il solito teatrino: “sempre di corsa”, “mai abbastanza”, “per te contiamo poco”. Invece mi ha risposto calma, quasi dolce: “Tranquillo amore, stai quanto vuoi. A noi fa piacere anche solo vederti.” Mi sono bloccato a guardare il telefono, come se avessi letto la chat sbagliata.

Per un attimo ho pensato: ok, finalmente. Ho abbassato la guardia. Ho perfino chiesto cosa potessi prendere a papà, e cosa potesse far piacere a lei. E mentre scrivevo, mi è venuto un dubbio semplice e fastidioso: quando in casa mia cambia il tono, cambia davvero anche il copione?”

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