“Sono in sedia a rotelle da quando avevo otto anni.

È una di quelle frasi che la gente non sa mai come accogliere: c’è chi risponde “mi dispiace”, chi fa un sorriso tirato, chi cambia discorso come se avessi appena detto che ho il Covid.

Io ormai ci rido sopra.

Perché, se ci pensi, non è la sedia a fare paura.

È quello che rappresenta: la lentezza, la fragilità, il “non saprei come comportarmi”.

Non ho mai baciato nessuno.

Non perché nessuno ci abbia mai provato, ma perché quando lo fanno, lo fanno come se stessero facendo beneficenza.

E io voglio un bacio vero.

Uno che mi spezzi il fiato, non la compassione.

Poi è arrivato lui.

Lo chiamerò Matteo.

Il primo che non mi ha guardata “così”, ma semplicemente guardata.

Con quella naturalezza spiazzante di chi si scorda della sedia, e vede solo me.

Quando mi ha detto “mi piaci”, ho pensato stesse scherzando.

E invece no.

Era serio.

Talmente serio che, per la prima volta, ho avuto più paura di essere felice che di cadere dalla carrozzina.”

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