“Da bambina, pensavo che mio padre fosse un po’ come il sole: lontano, ma sempre lì. Non serviva parlarci tanto, bastava sapere che c’era. Poi cresci, e ti accorgi che quella distanza non è solo fisica, ma è affettiva. Ti accorgi che “esserci” non significa solo pagare, risolvere, fare, significa guardarti, ascoltarti, ricordarsi di chiedere come stai senza motivo.
Il rapporto con un padre è una delle cose più difficili da spiegare: è fatto di aspettative, di parole che restano in gola, di promesse mai mantenute. È un legame che ti costruisce e ti distrugge insieme, perché un padre non è solo un genitore: è la prima figura che ti insegna cosa vuol dire sentirsi al sicuro. E quando quella sicurezza manca, impari a bastarti da sola, ma con una parte di te che resta sempre incompleta.
Non voglio fare la vittima, né dare colpe. Voglio solo raccontare quella sensazione strana di parlare con qualcuno che ti ha dato tutto tranne la cosa che contava di più: la presenza.
Perché a volte non serve un regalo, né un aiuto economico. A volte serve solo sentirsi dire:
“Ci sono, nonostante tutto”.
E forse, per certi padri, è proprio questa la cosa più difficile da imparare.
Rita.”



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