“Quando sei figlia femmina impari presto a cavartela da sola.

Io, almeno, l’ho imparato così: mamma e papà da me pretendevano sempre il massimo.

“Sei grande, arrangiati”, “Non darci pensieri”, “Tuo fratello è piccolo, ha bisogno di attenzioni”.

Così a diciannove anni lavoravo già, pagavo l’affitto, facevo turni doppi, mentre lui restava a casa “vicino a loro”.

Ma esserci non significa gestire pratiche, prenotare visite, litigare coi fornitori, pagare bollette arretrate per non farli restare al freddo.

“Essere presenti” è facile quando qualcun altro paga tutto.

Mamma è morta un anno fa e ora c’è questa casa.

Una casa che per me è ricordi, sacrifici, soldi, responsabilità.

Il testamento è chiarissimo: 50 e 50.

Eppure da mesi lui ripete che è solo sua.

Che “c’era sempre”.

Che io “non capisco il valore affettivo”.

Intanto, da un anno lui ci vive gratis, senza nemmeno cercare un altro appartamento.

E le spese di condominio? Le pago ancora io.

Perché “non ha soldi”, dice.

Peccato che per lui sia normale: ha sempre preso senza dare.

Io non voglio litigare, voglio solo trasparenza.

Ho le ricevute, i bonifici, i pagamenti di papà per la sua macchina, persino i messaggi in cui lui faceva conti senza di me.

Non è una guerra per soldi: è che, per una volta, non voglio farmi mettere i piedi in testa.

E se questo vuol dire sembrare “fredda”, va bene.

La verità scalda più di mille bugie.”

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